Uno studio dei ricercatori dell’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo (Isafom) del Cnr, Vincenzo Rizzo e Nicola Cantasano, in collaborazione con Giorgio Bianciardi del dipartimento di Biotecnologie mediche dell’università di Siena, ipotizza la presenza di tracce biologiche fossili sulla superficie di Marte.
La ricerca, pubblicata sull’ “International Journal of Aeronautical and Space Sciences”, ha preso in esame alcune immagini acquisite da ‘Opportunity’, il robottino della Nasa sulla superficie marziana dal 2004: il confronto con particolari tipi di rocce terrestri di origine biologica – microbialiti e stromatoliti – sembra evidenziare una struttura e una morfologia del tutto simili, portando i ricercatori a ipotizzare una genesi del medesimo tipo.
“Abbiamo analizzato particolari strutture minerali ‘fabbricate’ da batteri e microorganismi quali alghe unicellulari, che sul nostro Pianeta sono presenti, ad esempio, nella regione dei deserti nordamericani, in Australia e nel deserto dell’Atacama”, spiega Vincenzo Rizzo, geologo Isafom-Cnr in un articolo sull’edizione on line del nuovo Almanacco della Scienza Cnr.
Il confronto tra un consistente gruppo di immagini di tali microbialiti terrestri e fotografie acquisite dal rover nella regione di ‘Meridiani planum’, cioè vicino all’equatore di Marte, ha permesso di rilevare una coincidenza pressoché perfetta di tutti i parametri selezionati, fornendo risultati di altissima significatività statistica.
Il team Isafom-Cnr già in passato ha svolto ricerche analoghe: nel 2009 uno studio relativo ai cosiddetti ‘mirtilli marziani’ – le particolari sferule rotondeggianti individuate sul pianeta – aveva portato a ipotizzarne un’origine di tipo biologico: organismi unicellulari (cianobatteri) allo stato fossile.
La pubblicazione di oggi, invece, giunge a conclusione di due anni di lavoro di selezione e analisi delle immagini effettuate attraverso metodologie proprie della ricerca biologica, in particolare di analisi dei segnali e delle forme biologiche.
“In una prima fase le immagini sono state ingrandite e sottoposte a ‘scontornamento automatico’ delle forme: già dal punto di vista morfologico sono stati evidenziati filamenti di microsferule e strutture complesse molto somiglianti. Il successivo ridisegnamento con approcci automatici oggettivi e l’analisi matematica frattale multiparametrica hanno mostrato strutture e morfologie praticamente identiche”, conclude Rizzo.
Uno studio affascinante, che potrà trovare l’eventuale conferma solo nel momento in cui saremo in grado di portare sulla Terra campioni di rocce del Pianeta Rosso.