Trentasei minuscole particelle di polvere sono state raccolte in 10 anni dallo strumento Cosmic Dust Analyzer a bordo della sonda Cassini – missione Esa-Nasa-Asi in orbita attorno al pianeta Saturno dal 2004 – e analizzate da un team di ricercatori guidato da Nicolas Altobelli.
Non si tratta di particelle di polvere qualsiasi perché la loro origine non è all’interno del nostro Sistema solare ma ben più remota. Quei trentasei campioni, secondo Nicolas Altobelli dell’European Space Astronomy Centre dell’Esa (a Madrid, in Spagna) e il suo team, provengono infatti dal tenue materiale che permea lo spazio interstellare.
Forse – osserva Media Inaf, il notiziario online dell’Istituto nazionale di Astrofisica – questo numero può far sorridere, ma i granelli citati nello studio pubblicato dai ricercatori nell’ultimo numero della rivista “Science” superano di oltre cinque volte il totale delle particelle “extrasolari” che erano state identificate finora. L’analisi della composizione dei grani indica la presenza di magnesio, calcio, ferro, silicio e ossigeno. Grani che sembrano aver subito processi di trasformazione nel mezzo interstellare, dove sarebbero in parte evaporati per poi riaggregarsi.
“Riuscire ad analizzare le caratteristiche chimico-fisiche della polvere interstellare è un obiettivo molto ambizioso, ma critico per la comprensione dei processi di formazione stellare e dei sistemi planetari”, commenta Vincenzo Della Corte, ricercatore Inaf presso l’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali di Roma. “Conoscerne le caratteristiche ci porta lontano nello spazio e indietro nel tempo: al di fuori della nostra Galassia e al momento della nascita di una stella, ad esempio il nostro Sole. Il ciclo della polvere cosmica prevede un tempo di residenza della polvere nel mezzo interstellare pari a circa 2,5 miliardi di anni durante i quali le particelle passano da zone a bassa densità, al mezzo diffuso e alle nubi dense, regioni tipiche di formazione stellare. Il 5% circa della polvere presente nelle nubi dense entra a far parte costituente di una stella nascente e/o di un sistema planetario. Quindi lo studio di questa componente può fornire informazione proprio su questo tipo di processi astrofisici”.
“La raccolta e l’analisi di particelle di polvere interstellare – prosegue – potrebbero sembrare azioni impossibili pensando di doverla raggiungere nel mezzo interstellare. Per fortuna la polvere interstellare si rende disponibile anche all’interno del Sistema solare. Infatti, si può approfittare del fatto che il Sistema solare ‘viaggia’ a bordo della nostra Galassia attraverso il mezzo interstellare e andare a studiare quel flusso di polvere interstellare che entra nel nostro sistema planetario. Il flusso di polvere interstellare è distinguibile dalla componente di polvere ‘indigena’, interplanetaria, soprattutto per le proprietà dinamiche. Ciò ha permesso allo strumento CDA (Cosmic Dust Analyser) montato a bordo della sonda spaziale Cassini di distinguere le 36 particelle di polvere come parte del flusso di polvere interstellare. Le misure di composizione che ha potuto compiere lo strumento CDA aggiungono informazioni critiche a un quadro ancora molto poco studiato direttamente. Le uniche altre misure dirette sono state fatte grazie alla raccolta di alcune particelle di polvere interstellare dalla sonda Stardust della Nasa, che le ha riportate a Terra insieme a campioni di polvere cometaria, alle cui misure hanno preso parte anche ricercatori dell’Inaf”.