Il rover Mars 2020, che la Nasa ha previsto di lanciare tra 4 anni verso il Pianeta rosso per sondarne la superficie in cerca di segnali di vita microbica, potrà sfruttare per la sua caccia una nuova tecnica analitica sviluppata dal MIT. Il compito del rover sarà di raccogliere campioni di rocce e terreno e immagazzinarli sulla superficie di Marte, campioni che poi potranno anche essere portati sulla Terra da un’eventuale successiva missione per essere meglio analizzati. Un team di scienziati del Massachusetts Institute of Technology ha sviluppato una tecnica che aiuterà il rover a identificare i campioni rimasti il più possibile inalterati in maniera rapida e non invasiva. Questi campioni, – si legge su Media Inaf, il notiziario online dell’Istituto nazionale di astrofisica – selezionati tra quelli che hanno mantenuto maggiormente la loro composizione originale, permetteranno ai ricercatori di indagare la presenza di segni di vita passata, se ce n’è stata, sul suolo marziano.
La tecnica – illustrata in uno studio pubblicato sulla rivista “Carbon” – si sviluppa attorno a un nuovo modo di interpretare i risultati della spettroscopia Raman, un processo utilizzato dai geologi per identificare la composizione chimica delle rocce. Tra gli strumenti scientifici di cui disporrà Mars 2020 c’è anche SHERLOC (Scanning Habitable Environments with Raman and Luminescence for Organics and Chemicals), che si occuperà dell’acquisizione di spettri Raman di campioni lungo la superficie di Marte o nei primi strati di terreno, e sarà quindi fondamentale per determinare se la vita sia mai esistita sul Pianeta rosso.
La spettroscopia Raman è una tecnica che misura le vibrazioni degli atomi all’interno delle molecole di un certo materiale su cui è stato focalizzato un raggio laser. Dal momento che atomi e molecole vibrano a frequenze diverse a seconda del tipo di legame che li tiene insieme, la spettroscopia Raman fornisce informazioni chiave per identificare la composizione chimica di un campione. Eppure, spiega Roger Summons, professore presso il MIT e co-autore dell’articolo, il quadro globale che si sono fatti fino ad ora gli scienziati circa la possibile presenza di vita nei campioni analizzati è poco chiaro. Ad esempio, uno spettro Raman acquisito da un pezzo di carbone estratto sulla Terra è molto simile a quello di una particella organica trovata su un meteorite proveniente dallo spazio. Tuttavia Nicola Ferralis – primo autore dello studio, laureato a Padova e oggi ricercatore presso il MIT – ha scoperto alcune sottostrutture negli spettri Raman che possono aiutare a formulare un quadro più completo circa la composizione chimica del campione. In particolare, il team di ricercatori guidato da Ferralis è riuscito a stimare il rapporto tra idrogeno e carbonio a partire da alcune sottostrutture negli spettri Raman del materiale esaminato. Questo risultato è molto importante, perché più una roccia è stata riscaldata, più la materia organica ha subito alterazioni, in particolare attraverso la perdita di idrogeno sotto forma di metano.
Questa nuova tecnica consente agli scienziati di interpretare con maggiore precisione gli spettri Raman già raccolti e valutare rapidamente il rapporto tra idrogeno e carbonio, individuando così in modo semplice e veloce i campioni più incontaminati, da sottoporre poi ad ulteriori studi. “Mars 2020 andrà alla ricerca di sostanze organiche conservate nei sedimenti, e la nuova tecnica permetterà una selezione più consapevole dei campioni per un potenziale trasporto fino a Terra”, spiega Summons.
La nuova tecnica analitica inoltre potrebbe aiutare anche a comprendere meglio l’evoluzione biologica della Terra. “Siamo interessati a studiare la materia organica più antica conservata sul nostro pianeta, perché speriamo che ci insegni qualcosa sulla fisiologia delle prime forme di vita cellulare sul nostro pianeta”, conclude Summons.