In era pre-antibiotica si rischiava di morire per una banale infezione, oggi la minaccia arriva dai super-batteri, germi multiresistenti sviluppatisi con l’uso massiccio e inappropriato (fino al 50% dei casi per indicazione, dosaggio o durata) degli antibiotici. Per questo la Clinica di Malattie Infettive di Terni ha adottato un programma strutturato per la sorveglianza attiva dell’appropriatezza delle terapie antibiotiche che sta già dando risultati molto confortanti.
L’Azienda ospedaliera Santa Maria di Terni ha avviato un programma per contrastare l’uso inappropriato degli antimicrobici e il correlato fenomeno della resistenza batterica agli antibiotici, che è ormai divenuto un problema a livello mondialesegnalato dall’OMS come una delle più grandi minacce per la salute dell’umanità. Secondo l’ECDC (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) si verificano annualmente 4 milioni di infezioni da germi multiresistenti che causano oltre 37mila morti l’anno ma si stima che nel 2050 potrebbero salire fino a quasi 10 milioni le persone nel mondo che potrebbero morire per una infezione da germi resistenti agli antibiotici (i cosiddetti super-batteri o “super-bugs”), superando i decessi per incidenti e per altre malattie altamente mortali come tumori e diabete (rapporto O’Neill, maggio 2016).
Le implicazioni cliniche e di salute pubblica sono enormi se si considera che se non avessimo a disposizione gli antibiotici non saremmo in grado di eseguire importanti interventi chirurgici, trapianti di organi o cellule staminali, di posizionare pacemaker cardiaci, protesi valvolari, protesi ortopediche o di praticare tante manovre invasive diagnostico-terapeutiche ormai routinarie.
I fattori determinanti per lo sviluppo della resistenza antimicrobica sono sia l’uso massivo di antibiotici, per esempio nell’allevamento, sia l’uso inappropriato degli antibiotici in ambito medico e ospedaliero: in generale si stima che fino al 50% delle prescrizioni antibiotiche siano inappropriate in termini di indicazione, dosaggio o durata della terapia.
“Per questo motivo la Clinica di Malattie Infettive di Terni diretta dalla professoressa Daniela Francisci – spiega il dottor Stefano Cappanera, responsabile del progetto – dal 2016 ha attivato un programma strategico per migliorare l’appropriatezza prescrittiva dell’antibiotico terapia. Il progetto prevede un approccio su più livelli che vanno dalla implementazione e condivisione di linee guida(Antibioticoprofilassi in chirurgia) alla sorveglianza attiva nelle Terapie Intensive , con monitoraggio sia delle prescrizioni, attraverso preautorizzazioni, audit, feedback, sia dei consumi. Il risultato atteso è il miglioramento dell’appropriatezza prescrittiva attraverso la scelta del ‘giusto farmaco, alla giusta dose, nel giusto tempo e per la giusta indicazione’. E l’analisi preliminare dei dati raccolti dall’attivazione del programma, già mostra risultati molto confortanti”.
La pericolosità dei super-batteri. I batteri sono organismi che hanno la capacità di adattarsi all’ambiente, modificando il loro metabolismo e acquisendo geni che consentono loro di diventare insensibili all’attività dei farmaci antimicrobici. Se in era pre-antibiotica si rischiava di morire per una banale infezione (una polmonite ma anche una ferita o la puntura di un insetto), dagli anni ’50 si è assistito ad una impetuosa produzione di antibiotici per terapie sempre a più ampio spettro. Purtroppo però la sintesi di nuovi farmaci antibiotici è andata di pari passo con l’aumento di questi ‘super-batteri’, che hanno ormai sviluppato una resistenza a quasi tutti gli antibiotici esistenti in commercio. Nel prossimo futuro pochissime nuove molecole saranno disponibili, a causa di un ritardo della ricerca farmaceutica che non ha visto nella sintesi di nuovi antibiotici un’area di interesse prioritario.
“Per questi motivi – sottolinea il direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Terni Maurizio Dal Maso – l’adozione di una strategia gestionale antimicrobica è ormai una priorità nell’ambito delle organizzazioni sanitarie e in particolare negli ospedali per acuti, al fine di ridurre il rischio infettivo e ottimizzare la gestione delle infezioni e della terapia antibiotica, in un’epoca in cui i pazienti sono sempre più spesso immunodepressi, allettati o portatori di dispositivi invasivi come protesi o cateteri, e dunque vulnerabili e soggetti a quadri infettivi sempre più complessi”.