Alessandro Gassman, reduce dal successo ottenuto con “La pazza della porta accanto”, il bellissimo spettacolo prodotto dal Teatro Stabile dell’Umbria di cui ha curato la regia (le sei recite al teatro Morlacchi hanno registrato sempre il tutto esaurito), domenica 6 dicembre, alle 21, inaugura la Stagione del Teatro Comunale di Todi con un altro spettacolo diretto da lui, “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Dale Wasserman, tratto dall’omonimo romanzo di Ken Kesey, la cui versione cinematografica diretta da Miloš Forman e interpretata da Jack Nicholson è entrata di diritto nella storia del cinema.
Una messinscena elegante e contemporanea, appassionata, commovente e divertente, imperdibile per l’estetica dirompente e per la forte carica emotiva e sociale, con un cast di attori straordinario, Daniele Russo, Elisabetta Valgoi, Mauro Marino, Marco Cavicchioli, Giacomo Rosselli, Alfredo Angelici, Giulio Federico Janni, Daniele Marino, Antimo Casertano, Gilberto Gliozzi, Gabriele Granito, Giulia Merelli.
“Con Maurizio De Giovanni che ha curato l’adattamento del testo – racconta Alessandro Gassman – abbiamo deciso di ambientare la vicenda in una clinica psichiatrica italiana nel 1982. Tutto ha inizio con l’arrivo di un nuovo paziente che deve essere ‘studiato’ per determinare se la sua malattia mentale sia reale o simulata. La sua spavalderia, la sua irriverenza e il suo spirito di ribellione verso le regole che disciplinano rigidamente la vita dei degenti, porterà scompiglio e disordine ma allo stesso tempo la sua travolgente carica di umanità contagerà gli altri pazienti e cercherà di risvegliare in loro il diritto di esprimere liberamente le loro emozioni e i loro desideri.
Ciro (il mio McMurphy) è un ribelle anticonformista che comprende subito la condizione alla quale sono sottoposti i suoi compagni di ospedale, creature vulnerabili, passive e inerti. Da quel momento si renderà paladino di una battaglia nei confronti di un sistema repressivo, ingiusto, dannoso e crudele, affrontando così anche un suo percorso interiore che si concluderà tragicamente ma riscatterà una vita fino ad allora sregolata e inconcludente. E, attraverso di lui, i pazienti riusciranno ad individuare qualcosa che continua ad esser loro negato: la speranza di essere compresi, di poter assumere il controllo della propria vita, la speranza di essere liberi”.
Un testo che è una lezione d’impegno civile, uno spietato atto di accusa contro i metodi di costrizione e imposizione adottati all’interno dei manicomi ma anche, e soprattutto, una straordinaria metafora sul rapporto tra individuo e potere costituito, sui meccanismi repressivi della società, sul condizionamento dell’uomo da parte di altri uomini. Un grido di denuncia che scuote le coscienze e che fa riflettere.