Tanti applausi al teatro Comunale per la prima nazionale della riduzione teatrale di “Cuore puro” di Roberto Saviano ad opera di Mario Gelardi che, oltre alla scrittura, firma anche la regia.
La ‘Favola nera per camorra e pallone’, come recita il sottotitolo del romanzo “Cuore puro” di Saviano, è stata proposta come atto unico ed è andato in scena domenica sera 25 agosto, all’interno del TodiFestival ’24, produzione di Sardegna Teatro e coproduzione con Fondazione Luzzati Teatro della Tosse e Teatro Sannazaro, interpretazione di Vito Amato, Emanuele Cangiano, Carlo Di Maro, Francesco Ferrante e Antonella Romano.
La storia è bellissima. Attuale ed eterna allo stesso tempo. Tutto nasce da un fatto di cronaca, trasformato in racconto da Saviano e poi ripreso e ampliato in forma di romanzo. Ripercorre la vita di quattro amici (a teatro diventano tre) nati e cresciuti in una zona degradata del napoletano e patiti per il calcio che vivono come gioco e come ideale di vita nei cortili e nelle piazzette che diventano campetti di fortuna. Il ‘Super Santos’ è per antonomasia il pallone economico che è secondo solo al ‘Tango’, vincitore sul ‘Super Tele’, negli anni Ottanta in cui la vicenda ha origine. Un pallone che nello spettacolo tuderte diventa co-protagonista della storia.
Quei ragazzini vivono il calcio come il sogno della vita e il faro del cuore. Ma il ‘mostro’ è in agguato. E loro, pur di giocare, non riescono, sulle prime, a rinunciare all’offerta di protezione da parte del boss locale che assicura loro un pugno di soldi e una fornitura illimitata di palloni nuovi. Ma dovranno giocare nella piazza dello spaccio e urlare forte a ogni arrivo della volante della polizia. Ed ecco che ‘il mostro’, la camorra in questo caso, usa proprio il sogno di libertà e realizzazione dei ragazzi per assoggettarli, piegandoli alle sue logiche e frantumando il loro sogno. Nel tentativo di mantenere un difficile equilibrio, quello tra una vita normale fatta di giochi e aspirazioni comuni alla loro età e la realtà brutale di una vita intrappolata in un sistema criminale, i ragazzi si trovano costretti a crescere in fretta e a confrontarsi con sfide profonde e impegnative scelte morali. Fino a quando uno di loro quel pallone non riesce, o non vuole, lanciarlo più, lascia il campetto, il rione e la città.
Gli amici che restano pian piano si accorgono di essere stati intrappolati in un sistema perverso e di esser passati da una sana ambizione a una vera prigione a vita, ma non tutto è perduto finché ‘il cuore è puro’, ovvero pieno di desiderio nonostante tutto. E sarà proprio un cuore, come organo vitale del corpo, quello che gli è stato ordinato di trafugare, che segnerà la svolta.
Una svolta che a teatro non è precisamente definita nel finale che, nella trascrizione scenica, resta aperto a varie interpretazioni nelle modalità di svolgimento, ma che definisce la possibilità di cambiare, di interrompere il giro vizioso e trasformarlo in qualcosa di eroico, qualcosa che è giusto, non solo perché non è sbagliato o fa del male agli altri, ma perché non corrisponde al desiderio del proprio cuore e fa male in primis a se stessi.
Un finale teatrale che ha il pregio di non aver detto tutto e di rimandare, come può fare un input, alla lettura del racconto e del romanzo di Saviano. Ma intanto, anche grazie alle efficaci soluzioni scenografiche curate da Lorenzo Leone, belle le strutture metalliche che fanno da casa, palestra, piazza e nello stesso tempo gabbia e prigione, le musiche originali firmate da Mokadelic, l’armonica essenzialità dei costumi di Rachele Nuzzo e il gioco di luci disegnate da Loïc François Hamelin, i dialoghi resi rapidi anche grazie alla collaborazione ai testi di Leonardo Tomasi, il ritmo della rappresentazione è stato sempre alto, tenendo il pubblico sempre col fiato sospeso e concentrato sui temi molto forti messi in scena. Come la manipolazione della vulnerabilità dei giovani da parte della criminalità che attira e sfrutta i ragazzi corrompendoli, le scelte difficili di fronte alle quali sono posti i protagonisti costretti a navigare tra la lealtà alla loro comunità criminale e il desiderio di una vita migliore, mettendo in discussione valori e percezione di ciò che è giusto e sbagliato, la difficoltà della crescita e della formazione in un contesto in cui le opzioni per il futuro sono limitate dalla povertà e dalla criminalità.
Una realtà dura e complessa quella presentata in ‘Cuore puro’, che porta a riflettere sulle condizioni che spingono i giovani verso la criminalità e sul ruolo della società nel prevenire e contrastare tali fenomeni e su quello delle istituzioni nell’offrire alternative concrete ai giovani in contesti a rischio. E nello stesso tempo fa riflettere su un tema eterno, quello del ‘Mephisto’, che ha radici profonde nella cultura europea e prende corpo nella leggenda del Faust, ovvero di Mefistofele, il demone tentatore che offre a Faust, disperato e insoddisfatto della sua vita, la possibilità di ottenere conoscenza e potere illimitati in cambio della sua anima. Il tema eterno della tentazione, dell’ambizione e della perdita della moralità, col seduttore che sfida le leggi morali per ottenere ciò che desidera, incarnando il conflitto tra desiderio umano e conseguenze etiche delle proprie scelte.
Maria Vittoria Grotteschi