Nella 39° edizione di “I vinarelli” (2022), gli organizzatori, Pro Loco di Torgiano (presidente Fabrizio Burini) e “Comitato Vinarelli” (Presidente Marino Burini), hanno previsto un momento di riflessione presso il Palazzo Civico, dal titolo “Finché c’è vino c’è speranza” curato dall’Associazione Musicale Ciro Scarponi (presidente Attilio Gambacorta).
Il dottore, medico Renato Colombai ha intrattenuto sul tema “C’è speranza… nel vino!” (con un orientamento salutistico psico-fisico e culturale), il maestro Giampaolo Lazzeri ha esposto sugli “Incontri con la Musica, Vino e Socialità” con un’orbita snella ma circospettica nella letteratura “sinfonica”, “lirica” e dei cantautori; infine, Dante Cerilli, tra loro, che redige questo articolo-saggio – non trascurando di ricollegarsi a talune delle citazioni precedenti – ha argomentato circa “La trama vivente che dalla vite s’addipana”, una sorta di “antropologia culturale” del vino.
Gli intellettuali hanno avuto il ruolo di integrare il momento del diletto (i pittori che avrebbero dipinto i “vinarelli” – per antonomasia alla tecnica dell’acquerello – la cena conviviale in Corso Vittorio Emanuele II, i concerti di musica rock, pop, leggera in almeno altri tre spiazzi del paese) con una lettura di eventi, sentimenti, circostanze, fenomeni tutti che si generano attorno al vino creato e venduto, con la sua sostanzialità organolettica, etica, psicologica (Colombai) sociale e culturale nelle forme di aggregazione, quando si fa politica e quando si gode dell’arte (Lazzeri). “In taberna quando sumus”, ad esempio, Lazzeri riporta l’orfico scenario del vino in musica, richiama ai brindisi che suggellano patti nella Lirica con un brindisi. Dal canto mio aggiungo quando, “a vino”, ci si commisera nelle arie patetiche della lirica ottocentesca o ci si rallegra in quella solenne del compiacimento, ironica dell’invettiva, leggera o sferzante, o in quella divertente della “Chanson a boire” nei Racconti di Hoffman (1881, postuma) di Jacques Offenbach, o quella di Francis Poulenc (1922). L’idea di questo genere musicale mi è venuta quando Colombai ha citato i “Versi da bere” di una poesiola (che si rivelava scritta di suo pugno). Amore e vino che altrove ci sembra tendenzioso e opportunistico come nell’affermazione di Martin Lutero (“Chi non ama vino, donna e canzone, per tutta la vita rimane un buffone”) per il fatto che così egli poteva appalesarsi nell’amore per una sua donna. In questa vita, a volte, non ci si accorge della sacralità del vino, bevuto non solo nei simposi presso i greci ma anche nei riti orgiastici in onore di Dionisio. Si dimentica che Noè dopo il diluvio coltivò la vigna e si ubriacò col vino; che hanno un cattivo rapporto col vino “quelli che vengono a cercare vino mischiato” (si pensi al vino dei Greci miscelato con acqua, come riferiva Elena Konstantos) hanno guai, difficoltà, “ferite senza ragione”. Eppure, tanto nell’Antico Testamento quanto nel Nuovo non si rinuncia a ravvisare la bontà e opportunità del vino: « … Il vino è come la vita per gli uomini […]. Che vita è quella di chi non ha vino? Questo fu creato per la gioia degli uomini… Allegria del cuore, gioia dell’anima […]». Ancora più chiaro, “Vinum et musica laetificant cor”, cioè il vino e la musica rallegrano il cuore [l’animo, l’umore]. Il vino è anche sacralità alta che ci appare esso stesso germe di vita. Il vino è la sintesi perfetta fra tre attori protagonisti (Dio, Gesù e i figli di Dio) ed è come se esso stesso rappresenti dunque il “frutto” del divenire. Dal fatto che viene dato di pensare che il vino sia esso stesso sinonimo di vita, è l’ispirazione degli organizzatori a chiamare questa giornata di studio “Finché c’è vino c’è speranza”, che richiama anche una certa filmografia del tipo Finché c’è prosecco c’è speranza (Padovan) e ancor, più attinente, Il profumo del mosto selvatico (Arau), ma è evidente che il titolo ha origini proprio dal detto popolare: Finché c’è vita c’è speranza (Cicerone), laddove si è convinti che un grappolo, quando matura, “diventa
spirito” [alcool], proprio perché lo spirito va inteso come “anemos”, “soffio di vita” (per ogni approfondimento vedi il link qui sotto).
Nel segno del vino è la letizia del cuore, è le passioni («Il vino prepara i cuori e li rende più pronti alla passione», Ovidio citato da Colombai,) le incertezze d’amore, i “colpi di scena ed audacia” che non riusciamo “nemmeno a pensarli”. E poi In Vino Salus, dunque, il Vino e la Medicina. Al telefono, giorni fa, dissi a Colombai che mi infervorava all’argomento, che il vino stesso è un organismo “vivente”, cioè “vivo” di una sua propria vita biologica con tutti i microrganismi che lo compongono e non solo un insieme di qualità organolettiche. Così, come Savonarola e Boldo tra XV e XVI sec. parlano delle “cose che nutriscono” (vedi link qui sotto), Salvatore Pablo Lucia, nel 1954, non parla soltanto degli accorgimenti da tenere in considerazione sul vino “come alimento” o come medicina, ma anche di alcuni aspetti sociali e antropologici di esso. Ricordo il vino sostanza principale che sta alla base degli enoliti: vino unito a erbe ed altri elementi naturali commestibili e medicamentosi messi a macerare da cui si ottengono soluzioni che diventano un toccasana. Secondo diversi studi, consumare un bicchiere di vino rosso al giorno porterebbe benefici sia per il cuore che per il cervello, diminuendo il rischio di attacco cardiaco e di ictus. “In vino veritas” (Plinio il Vecchio), per cui oltre al vino della salute, si deve contemplare adesso il “vino della verità”. La locuzione è ambivalente; per cui nel vino è la verità perché attraverso l’ebrezza si è loquaci e si “spiffera” tutto, ma potrebbe essere che la verità sia nel vino perché è il vino stesso un “organismo”… che racconta! Il vino un “organismo vivente” non solo una bevanda organolettica. «Il vino parla. Vino che ci fa scoprire gl’intimi recessi della nostra anima», nel bene e nel male. Baudelaire avverte: «Chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere». La canzone del conte Ségur L’Aine recita: «Tutti i cattivi sono bevitori d’acqua, ciò è provato dal diluvio”. La verità che è nel vino, a causa del vino o a pretesto del vino può ledere al quieto vivere com’è nella poesia I tre grappoli Pascoli, dove il “terzo grappolo” è quello che apre le voragini dell’inconscio. Tuttavia, il vino per lui il piacere di bere l’Albana con il suo maestro Carducci, nella “Locanda della Serafina” (oggi ancora esistente a Bertinoro FC). Viene qui voglia di parteggiare con Carducci (“A noi conforti l’anime”, dice del vino e di Bacco) e ricordare il giubilo dei baccanali, “Evoè Evoè” della poesia Brindisi. Sovviene la bestemmia (“che sia colpito con una lancia”) del provocatore e irriverente Cecco Angiolieri verso il padre – che lo tiene così a “stecchetto” – non facendogli coltivare le sue passioni preferite, “cioè la donna, la taverna [il vino] e ’l dado”, quelle che gli “fanno ’l cuor lieto sentire”, oppure del Cecco che invoca ogni bene a “chi prima pose ‘l vino/ che tutto il “dì” lo “fa stare in bonaccia [allegro]” e che – insolitamente – chiede che per il vizio del vino lo “abbi Iddio per escusato” (Rime, LXV). Risuona la ballata di Lorenzo de’ Medici: «Donne e giovinetti amanti,/ viva Bacco e viva Amore!/ Ciascun suoni, balli e canti!/ Arda di dolcezza il core!/ Non fatica, non dolore! (Canzona di Bacco, VII, da “Canti carnascialeschi”). Echeggiano i versi di Bacco in Toscana di Francesco Redi, che esaltano e suggellano: «E bevendo, e ribevendo/ I pensier mandiamo in bando».
E, per concludere, peccato che Dante nei versi del XXXIII Paradiso si riferisca all’acqua dell’Eunoè, perché altrimenti, l’espressione poetica si adatterebbe bene ad esaltare la prelibatezza del vino, ovvero: «S’io avessi, lettor, più lungo spazio/ da scrivere, i’ pur cantere’ in parte/ lo dolce ber che mai non m’avrìa sazio;/» …. Il dolce sapore di bere…. Che non mi avrebbe mai saziato!
Torgiano (PG), 18 agosto 2022, Dante Cerilli relatore.
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Nell’immagine in alto: un “Vinarello 2022” (pittura con vino)
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