L’arrivo di un figlio maschio, nell’Umbria rurale fino ad alcuni decenni fa, era la promessa di nuove braccia per l’agricoltura nonché la speranza di prosecuzione del nome di famiglia, una nascita importante che andava “onorata” aprendo un nuovo prosciutto per festeggiare il nuovo nato; per le femmine, festa in tono minore a base di pancetta, più grassa e meno prelibata.
I festeggiamenti per il lieto evento erano comunque sempre a base di maiale e, ancora oggi, si usa aprire un nuovo prosciutto per le nascite.
Il prosciutto, rispetto alla spalletta è più polposo e più grosso, con un grasso succulento per nulla demonizzato dalle donne che se ne cibavano per avere pelle liscia e latte abbondante.
Nel mondo rurale della Valnerina, la differenza tra prosciutto e spalletta era sostanziale: l’uno era per le famiglie più povere una ghiottoneria proibita perché, ben stagionato, valeva uno scambio con un maialino da allevare; l’altra, la spalletta, si teneva invece da parte per le merende dei braccianti ai tempi della mietitura.
Il maiale per l’economia domestica della classe rurale costituiva una risorsa preziosa: ‘Chi n’ammazza lu porcu, tuttu l’annu va a collu tortu’ recita un detto umbro. Nel vicino territorio leonessano si diceva: Nengua Nengua s’ha da nenguà. So ccisu lu porcu, so fattu lo pa’, ovvero: Ucciso il porco e fatto il pane, cada pure la neve.
(Fabiola Chàvez Hualpa, Le donne nel mondo rurale della Valnerina, Terni, tipolitografia Federici, 2012)
Si ringrazia: Consorzio di Tutela del Prosciutto di Norcia IGP
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