Successo di pubblico e di critica per la ‘La mia anima è il sogno di una farfalla’, personale dell’artista Ugo Levita, tuderte di adozione e di origine partenopea conosciuto e apprezzato in tutta la comunità artistica umbra, che dal 20 settembre al 15 ottobre ha esposto al Torcolarium del Nido dell’Aquila, nella mostra presentata dall’associazione culturale Atrex-International come evento conclusivo della propria stagione artistica.
La curatrice del catalogo della mostra, l’australiana Alexia Petsinis, ha messo in evidenza il significato simbolico intrinseco della farfalla nella cultura visiva nel corso della storia, in particolare nella letteratura e nell’arte. “Per gli antichi greci – spiega – rappresentava l’anima che lascia il corpo umano al momento della morte. Durante il Rinascimento, era un’entità enigmatica strettamente associata alle idee di trasformazione, rinascita e viaggio dell’anima. Artisti come Leonardo da Vinci e Albrecht Dürer hanno esplorato il multiforme simbolismo della farfalla con grande intrigo nelle loro opere, usandola per impregnare una composizione con strati di significato, narrazioni e riflessioni sulla natura stessa e sui cicli dell’esistenza.”
Le ipnotiche esplorazioni nella poesia del sogno di Levita si dispiega nei suoi dipinti dove i paesaggi e le architetture, le figure umane e gli animali, i personaggi e gli oggetti sono fermati al di là dell’esperienza fisica della realtà e si stagliano nel mondo del surreale, attraversati dal tema delle farfalle che, in ogni tipo e dimensione, avvolgono o delimitano o invadono le figure e gli spazi, e a volte sfumano in una sorta di interazione tra naturale e spirituale.
“Come spettatori – dice ancora la Petsinis leggiamo molti aspetti della nostra psiche e della nostra esistenza nelle farfalle di Levita. Ma la farfalla è solo un elemento intrigante del linguaggio visivo di Levita, che riflette la sua insaziabile curiosità e la sua magistrale capacità di fondere temi surreali con tecniche pittoriche formali. Il risultato è un corpus di opere che immerge gli spettatori in piani ultraterreni, sfidando le nostre percezioni convenzionali della realtà in quella che potrebbe anche essere definita un’esperienza del soprannaturale.”
Presente, dunque, l’essenza fondamentale del surrealismo: l’annullamento dei confini tra conscio e subconscio, tra il familiare e lo strano, tra le visioni della realtà e qualcosa che va oltre. La pittura di Levita, infatti, si ispira al manifesto del surrealismo di Andrè Breton e nasce dall’iniziale suggestione per questa corrente pittorica che, alimentata e affinata nel tempo, raggiunge uno stile inconfondibile di libertà espressiva ed equilibrio a tutto campo, in senso trasversale rispetto al tempo e allo spazio.
“Il lavoro di Levita riecheggia anche le esplorazioni tematiche e il linguaggio pittorico della pittura rinascimentale, combinando elementi di anatomia umana, allegoria e iconografia ed eleganti riferimenti al classicismo.” Così ancora la curatrice del catalogo. “Le sue tele invitano gli spettatori a entrare in stati enigmatici dell’esistenza, dove il familiare e il fantastico, il classico e il contemporaneo, coesistono in un armonioso disaccordo. La sua maestria visiva risiede nella precisione tecnica e nella capacità di evocare atmosfere avvolgenti nelle sue composizioni che amplificano l’esperienza surreale per gli spettatori. La sua meticolosa stratificazione di dettagli, unita a una tavolozza onirica che oscilla dalla tenerezza ariosa a un profondo senso di presagio, crea un senso di iperrealismo all’interno del surreale. Inoltre, la presenza del chiaroscuro nelle sue opere ne accentua la qualità inquietante, confondendo il confine tra ciò che vediamo, ciò che conosciamo e ciò che esiste al di là della realtà.”
Il volo onirico delle farfalle di Ugo Levita, che si definisce “manovale della pittura che lavora nel campo dell’immaginario”, prosegue verso le città di Napoli e Orvieto, dove nei prossimi mesi la mostra ‘La mia anima è il sogno di una farfalla’ approderà per nuovi incontri, nuove suggestioni e, chissà, forse anche nuovi spunti per le prossime opere d’arte.
Maria Vittoria Grotteschi