L’Umbria accoglie il Seicento. Orazio Gentileschi arriva a Perugia con la sua Madonna del Rosario, frutto della fortunata collaborazione tra la Galleria Nazionale e la Pinacoteca Molajoli di Fabriano.
Perugia ha concesso in prestito alla città marchigiana quattro opere di Gentile da Fabriano per la mostra Da Giotto a Gentile. Pittura e scultura a Fabriano tra Due e Trecento (26 luglio – 30 novembre 2014). In risposta, la Pinacoteca Bruno Molajoli ha deciso di omaggiare la Galleria Nazionale dell’Umbria con l’arrivo di un capolavoro quale la Madonna del Rosario che sarà esposta al pubblico fino al 30 settembre 2014.
Non si tratta della prima tela di Orazio Gentileschi che approda nel capoluogo umbro. La Santa Cecilia che suona la spinetta troneggia da tempo nelle sale del museo dedicate al caravaggismo, ora temporaneamente arricchite anche della grande opera fabrianese. Paradossalmente, a pochi passi prende posto anche una tela del pittore romano Agostino Tassi (il Riposo nella fuga in Egitto, del 1615). Ironia della sorte, poiché fu proprio Orazio Gentileschi nel 1612 ad accusare l’artista di aver abusato sessualmente di sua figlia Artemisia ed il processo che ne seguì fu reso celebre dalle cronache dell’epoca. Tassi venne poi condannato all’esilio da Roma.
La Madonna del Rosario si colloca nel breve periodo in cui Gentileschi soggiornò nelle Marche, presumibilmente dal 1613 al 1617. Era destinata alla chiesa di Santa Lucia (l’odierna S. Domenico) a Fabriano.
Il linguaggio stilistico di Gentileschi si fa qui più edulcorato dalle potenti innovazioni dell’arte di Caravaggio. La composizione generale sembra avvicinarsi di più agli stilemi di un altro protagonista della scena marchigiana del secolo precedente come Lorenzo Lotto.
Gentileschi sceglie delle sfumature di colore più sobrie e la luminosità diffusa allontana la tela dal linguaggio caravaggesco in cui i corpi emergono e prendono vita dagli sfondi di tenebra. Si potrebbe quasi intuire una richiesta di moderazione da parte della committenza, ben conscia delle numerose reazioni negative alle opere di Caravaggio, soprattutto in quelle popolate da soggetti religiosi e spesso dichiarate “indecorose”.
Basta volgere lo sguardo alla Santa Cecilia che suona la spinetta per riportare l’osservatore alla forza dirompente del lessico caravaggesco. Orazio Gentileschi, pisano di nascita, fu tra i maggiori interpreti di quella fortunata stagione romana in cui primeggiò il lombardo Michelangelo Merisi, a cavallo tra Cinquecento e Seicento. Lo stile di Orazio si arricchì della preziosa lezione di Caravaggio, che ne fece uno degli artisti più richiesti nel panorama artistico italiano e non solo. Venne chiamato al seguito di Maria de’ Medici con cui si trasferì a Parigi e la sua copiosa attività si concluse alla corte inglese di Carlo I, fino alla sua morte nel 1639.
Tuttavia non gli furono riservate solo lodi. Un avvelenato Giovanni Baglione, pittore e autore di medaglioni biografici di artisti, liquidò il Gentileschi sentenziando che “con la sua satirica lingua ciascheduno offendeva”. Bisogna comprenderlo. Baglione querelò Orazio nel 1603, con Caravaggio e altri pittori della sua cerchia, a causa di poesie scurrili e diffamatorie nei suoi confronti.
Orazio Gentileschi fu un artista raffinato ed elegante ancora oggi poco conosciuto dal grande pubblico, più attratto dalle opere e dal nome della figlia Artemisia. La Galleria Nazionale dell’Umbria vi aspetta per riscoprirlo insieme. Fino al 30 settembre.
Caterina Fioravanti
Fonte: www.umbriatouring.it