Il premio letterario nazionale Città di Lugnano 2016 per la narrativa edita è stato assegnato a ”Ruggine” di Anna Luisa Pignatelli (Fazi, pp. 152 – 16,00 euro), un romanzo intenso e nero, da non confondere con il giallo noir in voga, perché nero su un piano tutto esistenziale e dalle radici arcaiche che si legano a stilemi da tragedia greca, di cui sono presenti molti caratteri, anche se il finale, come ribaltando ogni possibilità di catarsi e giustizia in modo quasi beffardo, appare più moderno e sorprendente, con quella visione della morte che ”soppesava di mese in mese i vegliardi di Montici per scegliere quali portarsi via, non riconoscendo in quella donna tenace uno di loto, volesse punire la sua diversità con l’abbondanza di giorni che le lasciava da vivere”.
Il premio Lugnano è alla sua seconda edizione e viene assegnato da una giuria di esperti composta da Paolo Petroni (presidente), Daniela Carmosino, Simone Marcuzzi (vincitore della prima edizione), Annagrazia Martino, Giorgio Nisini, Giorgio Patrizi e Carlo Zanframundo, più il voto finale di una giuria popolare dei paesi dell’Amerino attorno a Lugnano.
Il concorso prevede anche una sezione racconti inediti a tema, quest’anno ”Il segreto”, che è stato vinto da Francesca Pontiggia con ”Secret”.
Anna Luisa Pignatelli, toscana di nascita, ha trascorso molti anni fuori dall’Italia, fra cui alcuni a Dar es Salaam, a Seoul e a Città del Guatemala. È conosciuta e apprezzata in Francia, dove, nel 2010, ha vinto il Prix des lecteurs du Var con la traduzione del suo primo libro, ”Nero toscano”. Questo suo nuovo racconto, ”Ruggine” ha la cupezza e la dannazione di certi personaggi di Tozzi e si avvertono echi di ”Casa d’altri” di Silvio d’Arzo. Per Gina, detta Ruggine a causa del suo attaccamento a un gatto chiamato per il suo colore Ferro, la vita è fatta di emarginazione, di solitudine, di rimorsi per qualcosa che le è accaduto e di cui protegge il segreto, visto che riguarda suo figlio Loriano, internato in una casa di salute. Nel paese in cui vive, a parte il prete, la scansano tutti dandole l’impressione”che tutti sappiano”, agendo con crudeltà e grettezza, quasi un coro ostile che non fa che metterla in difficoltà, che la fa stare sempre in guardia, intimorita, raggelata pur amando istintivamente, pervicacemente la vita senza amarezza. E’ il quadro di una dannazione generale senza sensi di colpa, rendendo il quadro di una ”società incivile” che guarda, giudica e esclude protetta dalle persiane. Lei trova qualche misteriosa pienezza nel leggere i racconti d’epica nel libro di scuola del figlio. Avrebbe voglia di leggere, ma si vergogna di comprare libri che “le sembrava un’azione riservata ai signori”. Lei si sentiva come ”un’acacia nodosa, contorta dallo scorre del tempo, ma capace di tardive fioriture, perché radicata in una terra di profumi nel cui dolce paesaggio sembrava a volte mitigarsi perfino la cattiveria dei suoi abitanti”. Il romanzo vive di una scrittura asciutta e finemente letteraria, a suo modo lirica, forte e sottile nel far emergere le psicologie e gli umori, nel creare atmosfere sempre in modo non esplicito e fuggendo qualsiasi retorica. C’è un eco della cupezza del mondo e i personaggi di Tozzi, ma anche, nella figura della protagonista, di ”Casa d’altri” di Silvio D’Arzo.
La solitudine di questa anziana donna, sola davanti alla fine della sua vita e che non si arrende dentro se stessa, che difende il proprio vissuto per quanto inquietante possa essere, è l’emblema dell’emarginazione di chi vecchio appare solo un ingombro per gli altri, che non sanno come affrontarne l’eventuale imprevista umanità e magari la sua parte più oscura. Attorno quindi tante altre figure, dall’assistente sociale ai vicini, una copia di professori, ma capaci di un’apertura verso Ruggine solo il rete e il Neri, la cui morte non a caso lascerà Gina ”con la schiena piegata”, ma incapace di piegarsi alla meschinità e ipocrisie del paese mantenendo viva una sua curiosità e disponibilità verso il mondo.