di Katia Cola
«In vino cultura»: è questo il leitmotiv del format itinerante WineBook. Un’idea vincente, nata un anno fa, da Multiverso Foligno Coworking che ha letteralmente stravolto il modo di degustare il nettare di Bacco.
«La pretesa del format WineBook è quella di creare un trait d’union tra il mondo del vino, che già di per se è tangibile emblema d’arte, e la cultura e l’ars tuot court. Discutere della storia del vino mentre lo si degusta garantisce inevitabilmente un’esperienza plurisensoriale unica».
Queste le parole del Dottor Mario Gammarota che, lo scorso 3 Febbraio, hanno alzato il sipario su un’altra “puntata” dal titolo «Il vino nell’arte: Rinascimento e Sangiovese».
Il ‘500 nel bicchiere. Il ‘500 in una location d’eccellenza quale la Galleria Bompadre che, con la sua ricca selezione di maioliche, dipinti e oggetti d’arte, è affascinante sinonimo di quel classico e lineare Rinascimento artistico così travolgente ed eclettico tanto da essere definito dallo stesso Ezra Pound «non un’epoca, ma un temperamento». Il ‘500 tra locande, taverne ed osterie, tra opere rinascimentali il tutto in un perfetto connubio con sua maestà il Sangiovese. Questo il fil rouge di «Il vino nell’arte: Rinascimento e Sangiovese».
Alla kermesse sono intervenuti: Mario Gammarota, Marta Gammarota, sommelier – Forno Pizzoni che ha deliziato il pubblico con le sue prelibate leccornie, Gian Paolo Ciancabilla presidente Condotta Slow Food – Slow Wine, Andrea, Giorgio e Marco Bompadre, della Galleria Bompadre e Federica Ricci.
Da buoni padroni di casa, i fratelli Bompadre hanno presentato le loro eccellenze artistiche: dalle maioliche made in Deruta, espliciti esemplari della maestranza perugina annata 1500; ai dipinti in pendant con il tema della serata tra i quali troviamo il dipinto fiammingo alla maniera di Adrian Van Ostade del XVII secolo raffigurante scena di osteria, la natura morta con verdura e frutti ed un altro quadro raffigurante pollame. Un altro fiore all’occhiello della galleria è rappresentato dalle raffinate tovaglie bianche con decorazione blu ben meno rare di quelle decorate color ruggine. «Il sangiovese sta all’Italia come il Cabernet sta alla Francia: sono vini che esprimono un’identità viticola e vinicola di un Paese»: con questa citazione di Giacomo Tachis la Dottoressa Federica Ricci ha introdotto la somelier Marta Gammarota che, grazie alla sua passione per l’enologia in toto ha accompagnato il numeroso pubblico in un travolgente viaggio sensoriale tra raffinate degustazioni, storia e curiosità.
«L’origine e la provenienza del Sangiovese è di difficile identificazione, le notizie su uno dei vitigni più conosciuti coltivati in Italia sono molto frammentarie e poco attendibili» ha dichiarato la somelier Gammarota aggiungendo che «bisogna attendere il XVI secolo per avere informazioni sicure». Nel 1590 infatti il Soderini nel suo trattato «La coltivazione delle viti» descrive il Sangiovese scrivendo che «il Sangiocheto o Sangioveto è un vitigno rimarchevole per la sua produttività regolare». Quasi sicuramente la celebre uva era già nota al tempo degli Etruschi che la utilizzavano per la produzione del vino.
Incerta è anche l’etimologia del termine Sangiovese «il che ha dato spunto a numerose ipotesi: c’è chi sostiene che derivi da San Giovanni, chi invece da forma dialettali quali “san giovannina” uva primaticcia dato il suo precoce germogliamento, chi sostiene che derivi da Sanguis Jovis» ha spiegato Marta Gammarota. Re indiscusso dei vini rossi del centro Italia dove è presente in ogni zona secondo gli ampelografi la sua origine è localizzata tra la Toscana e la Romagna.
Tre le degustazioni proposte dalla somelier Gammarota. Tre le regioni d’origine. “Capriola”: è un inedito toscano del 2014 della cantina le Bonce della famiglia Morganti. Frutto di un uvaggio di Sangiovese delle annate 2014 e 2016 è un vino fresco e gioiso.
Con il Sangiovese Doc “Pandolfo” Riserva siamo il Emilia Romagna a Fiumana di Predappio, località dove il Sangiovese vanta una lunga storia che inizia nel Medioevo. Nel 1941 si insedia la famiglia Ricci che negli anni 70, intuendo il potenziale del territorio, pianta le vigne con il desiderio di recuperare le antiche tradizioni legate alla vinificazione del Sangiovese. La tenuta della Pandolfa oggi è di proprietà della Signora Paola Piscopo. «Molto particolare è l’etichetta del “Pandolfo” che testimonia la passione artistica dei proprietari. Colori eclettici che ricordano gli anni 50 periodo della rinascita della cantina. Il naso della figura rappresentata somiglia a quello della Calamita Cosmica di Foligno».
“Mani di Luna” prende il nome dall’omonima fattoria di Torgiano gestita da tre amici accomunati dall’idea di lavorare la terra in maniera naturale. Il biodinamico regna. Mani e luna sono i protagonisti: le mani perché l’attività è tutta manuale, dalla raccolta alla pigiatura compresa la diraspatura; la luna perché detta con i suoi cicli le diverse fasi delle attività.
Ad dare il la alle tre degustazioni l’Ippocrasso un vino molto speziato che ispira Ippocrate il quale, tra i vari ingredienti, era solito aggiungere pure l’acqua del mare, tipica usanza greca per attenuare l’eccessiva dolcezza della bevanda.
«L’uso delle spezie nel vino durante il Rinascimento per modificarne il gusto cattivo. E’ una diceria. Le spezie erano utilizzate come simbolo di ricchezza e potenza da parte nobili» cosi ha esordito il Dottor Giampaolo Ciancabilla. Tra il 1200 e il 1800 non abbiamo notizie gustative sul vino ma grazie alle ricerche di storici quali Montanari e Salemi coadiuvati da un’equipe di somelier ed enologi sappiamo che anche senza l’uso di tecnologie i vini naturali del passato erano buoni tanto quanto lo sono quelli realizzati attualmente con biotecniche.
Nel rinascimento abbiamo due grandi categorie i contadini che consumavano il bianchello un vino molto leggero poiché la qualità migliore era destinata alla vendita e la nobiltà ed il clero che nelle loro cantine conservavano l’eccellenza del nettare di Bacco.«Il vino ha da sempre avuto un’importanza basilare nell’economia. Dal 1450 in poi ha avuto inizio una severa legislazione in Umbria: contraffare il vino diventa punibile con la morte; un cittadino straniero che vuole impiantarsi nel cuore verde d’Italia deve avere obbligatoriamente una casa con la vigna il cui taglio era considerato la pena più severa » ha spiegato Ciancabilla.
Strettamente legata al vino c’è l’osteria che in principio nasce come luogo di bisca, perdizione, gioco d’azzardo poi subisce un’evoluzione nella locanda dove era possibile mangiare. «Parlando di gastronomia è d’obbligo distinguere tra le pietanze povere dei contadini tra il cibo più nutriente ma comunque semplice del clero e della nobiltà che nel corso dei banchetti diventava luculliano» ha concluso il presidente della Condotta Slow Food – Slow Wine.