Angelo Maggi (Instagram: @angelomaggiofficial), per chi non lo sapesse, è uno dei più importanti doppiatori italiani; la lista degli attori che in Italia hanno successo anche per la sua voce è sterminata, su tutti Tom Hanks, Robert Downey Jr., il commissario Winchester ne “I Simpson” e Woody, lo sceriffo del film d’animazione della Disney Pixar rimasto orfano della voce del compianto Fabrizio Frizzi.
Lo incontriamo a Calvi dell’Umbria, dove, nell’ambito del Calvi Festival, una serata è stata dedicata a “L’arte del doppiaggio”, in occasione della quale ha ricevuto un premio alla carriera. Cogliamo l’occasione per conoscerlo da vicino e scoprire qualcosa di più di questo mondo tanto affascinante quanto semisconosciuto.
Partiamo dal presupposto che tutti i doppiatori dovrebbero essere necessariamente degli attori ma, al contrario, tutti gli attori possono fare i doppiatori?
“No, non tutti gli attori sono in grado di essere anche buoni doppiatori. Innanzitutto il mestiere del doppiatore non esiste, tanti ragazzi mi dicono che vorrebbero intraprendere questo mestiere, ma io sono costretto a rispondergli che il mestiere del doppiatore tout court non esiste.
Questo è il motivo per cui è nato il mio spettacolo: “Il DoppiAttore: la voce oltre il buio”, il cui titolo mi è stato suggerito dal professor Gerardo Di Cola. Come gli scrittori hanno l’urgenza di scrivere un libro, io ho sentito la necessità di portare in scena la mia esperienza, anche se, ad oggi, sono l’unico doppiattore in Italia.
Sono 6 anni che propongo questo spettacolo grazie al quale ho avuto l’onore di ricevere un premio molto ambito: il premio “Doppiaggio e cultura”, istituito dal professor Di Cola che ha voluto riconoscere il mio piccolo contributo nel fare cultura con il doppiaggio, portando questo mondo misconosciuto al grande pubblico.
Ritornando alla domanda: tutti i doppiatori dovrebbero essere attori, l’urgenza che è nata in me e che ha dato vita al mio spettacolo è proprio questa, il titolo racconta tutto, il Doppiattore è un attore che si è andato specializzando, con una ulteriore competenza del difficile mestiere dell’attore, perché, accanto alla capacità di recitare bisogna padroneggiare una tecnica ben specifica.
La tecnica è molto importante, ma prima di tutto è indispensabile il talento supportato da tanto studio per diventare attori grazie a percorsi formativi importanti. Io ho studiato con il maestro Vittorio Gassman e quest’anno festeggio 40 anni di carriera. Dopo Vittorio ho avuto la fortuna di lavorare con Luigi Squarzina e Giorgio Albertazzi per tanti anni, Vittorio Caprioli, e poi mi sono approcciato al mondo del doppiaggio. Come spesso succede a noi attori, doppiando me stesso nel film Sapore di Mare, spesso a quei tempi, ormai 40 anni fa, bisognava fare le integrazioni ai dialoghi perché la presa diretta non era buona come oggi.
Quindi ho scoperto il doppiaggio doppiando me stesso, cosa tra l’altro non facile. Negli anni poi ho acquisito una tecnica che all’inizio non avevo assolutamente, grazie anche agli insegnamenti di Ferruccio Amendola.
Io ho sempre abbracciato il mestiere dell’attore a tutto tondo, mi è sempre piaciuto fare di tutto, dalla radio al cinema, al teatro e al doppiaggio in cui poi mi sono andato specializzando, ma non ho mai abbandonato il teatro né il set, anche se avrei voluto che il set mi avesse rapito un po’ di più, ma adesso mi prenderò le mie soddisfazioni nella mia seconda età.
Tanti attori che si approcciano al doppiaggio, attori fantastici tra l’altro, non ottengono buoni risultati perché non riescono ad immedesimarsi, probabilmente perché non hanno l’umiltà sufficiente, alcuni per esempio sono subito riconoscibili, mentre nel doppiaggio bisogna mettersi al servizio dell’attore che stiamo doppiando, bisogna un po’, dico io, un termine che ho inventato, incartapecorirsi con il personaggio, farsi un tutt’uno con il personaggio che doppiamo. Tanti non ci riescono, hanno un po’ di ritrosia a rinunciare alla loro personalità, mentre è indispensabile, per un buon risultato, rinunciare a parte della propria personalità senza però diventare degli imitatori: non siamo imitatori, caricature, siamo attori che trasliamo emozioni.”
Il livello di bravura degli attori di oggi è minore rispetto a quelli di una volta?
“Come racconta bene Gerardo Di Cola, massimo storico del doppiaggio italiano, nel suo libro “Le voci del tempo perduto”, la prima generazione del doppiaggio, negli anni 30-40, era costituita da tutti grandi attori di teatro che arrivavano al doppiaggio per tradurre i film americani; quindi le grandi major vennero in Italia, aprirono i primi studi e sorsero le prime cooperative di doppiaggio. Gli attori di teatro giravano in tournée quasi tutto l’anno, mentre oggi un mese di tournée è grasso che cola, quindi, è cambiato anche questo.
Io da ottobre a maggio giravo l’Italia con Vittorio Gassman, poi nei 4 mesi di pausa tra l’estate e l’autunno, vivendo a Roma, perché il doppiaggio si è sempre fatto a Roma, avevo tempo per dedicarmi a questo tipo di lavoro, continuando il mio mestiere.
I primi doppiatori quindi venivano dal teatro mentre oggi, con la seconda, terza, quarta generazione del doppiaggio, quasi tutti sono esclusivamente doppiatori.
Io non posso dire se è un male, la mia esperienza è quella di un attore a tutto tondo che poi si è dedicato al doppiaggio e, secondo il mio punto di vista, allo spettatore arriva lo sforzo che metti nel creare un personaggio solo in voce. Quello che c’è dietro lo si percepisce, anche se non si nota, per cui ci sono dei doppiatori bravissimi, che non sono attori, purtroppo dico io, però fantastici, attori doppiatori, poi attori che non sono bravi doppiatori, che si cimentano nel doppiaggio ma non riescono e che poi lo abbandonano.
Per fare doppiaggio ci vuole talento e tecnica, e la tecnica è tosta, pure io i primi anni ho faticato: il sincrono, il dosare la voce, il portare la voce, la prossemica, insomma tante cose che vanno imparate.
Il doppiaggio, tra le categorie dello spettacolo, è la più meritocratica, perché se non sei capace non te lo fanno proprio fare. Non ti puoi improvvisare come ti puoi invece improvvisare su un palcoscenico perché magari sei un personaggio, un tipo, diventi famoso perché hai un tic, oppure nel cinema perché sei un belloccio, quindi fai la tua carriera nelle fiction televisive italiane però non sei bravo. Nel doppiaggio devi essere un attore bravo.”
Un ricordo di Fabrizio Frizzi, dopo aver ereditato il personaggio di Woody in Toy Story 4
“Woody è stato una meravigliosa avventura di una saga che io, onestamente, non conoscevo. Sapevo che Fabrizio lo aveva doppiato, io lo conoscevo bene, abbiamo giocato per 15 anni a calcio insieme posso dire che eravamo amici, ed era veramente una persona splendida, di grandissima umanità, umiltà e un artista a tutto tondo, era molto generoso e si poneva sempre in punta di piedi, non si metteva mai in evidenza, poi aveva quella risata che ti metteva subito di buon umore, la sua risata era in levare.
Quindi è stato difficile prendere questa eredità, però ti posso dire che la cosa che mi ha dato gioia è stata avere la benedizione del fratello Fabio, che conosco e di cui sono amico, che mi ha detto: l’unica persona che poteva sostituire Fabrizio sei tu.
Quindi si, molta difficoltà quando ho saputo che l’avrei dovuto fare io, però poi quando sono stato al leggio, in sala di doppiaggio, in cuffia avevo una voce che conosco da 20 anni: Tom Hanks, io l’ho seguito e doppiarlo è stato facilissimo, difficile tutto quello che c’era intorno.”
I Talent: Come vede l’operazione di chiamare grandi nomi anche se non sono bravi doppiatori, per promuovere un film?
“Io, per avere il mio nome in un cartellone, l’unica volta che l’ho avuto finora, ho dovuto rinunciare al cachet, ho rinunciato al mio compenso a patto che fosse scritto che Bruce Willis era doppiato da Angelo Maggi: il film era “Il giustiziere della notte”. Se andate a vedere lì, piccolino, c’è il mio nome, è stata una piccola soddisfazione.
Al di là di questo non trovo giusto che grandi nomi del doppiaggio, tra i quali il mio, non vengano evidenziati a sufficienza, i nostri nomi sono al termine dei titoli di coda del film, e questo, a mio parere, non rende giustizia alla nostra professionalità.
La pubblicità che può dare il nome di un nome famoso, di un Talent così detto, in un film va benissimo, perché sono operazioni di marketing, se proprio si deve fare, però, gli ospiti devono almeno far parte del mondo dello spettacolo.”
Anche nella scelta dei talent nel passato c’era più qualità: in Hercules di Walt Disney per esempio ricordo uno strepitoso Magalli…
“È verissimo, Magalli è un doppiatore straordinario, è venuto anche ospite nel mio spettacolo, perché nel mio Doppiattore ho un ospite d’onore ogni sera da 5 anni, sono venuti più di 50 ospiti, tra i quali Magalli, Giulia Luzzi, Fiamma Izzo e tanti altri.
Per rispondere la tua domanda si, ultimamente la qualità dei talent si è abbassata moltissimo.”
Vuole lasciarci un ricordo del grande Tonino Accolla, la voce italiana di Eddie Murphy tra i tantissimi attori che hanno beneficiato della sua voce
“Tonino è stato uno dei primi con cui ho avuto la fortuna di lavorare. Beh, lui ha inventato i Simpson insieme ai distributori della FOX, hanno avuto la geniale idea dei dialetti italiani da dare ai personaggi mentre, in America, molti di loro sono doppiati da un attore unico; qui in Italia è stata fatta una scelta diversa e, pensa, io sono subentrato al terzo anno e ora sono 27 anni che doppio il commissario Winchester ne I Simpson.”
C’è un personaggio che non ha doppiato ma che avrebbe voluto doppiare?
“Non c’è, sono strafelice di fare quello che faccio. Beh, pensandoci bene c’è un film che avrei voluto doppiare, ogni volta che i miei figli mi dicono: “Papà, il più bel film che ha fatto Tom Hanks è Forrest Gump” io l’ho doppiato in quasi trenta volte, e… l’unica volta che l’ha doppiato Pannofino ha vinto l’Oscar! Quindi si, mi sarebbe piaciuto doppiare Forrest Gump, poi è arrivato Cast Away e da allora Tom Hanks in Italia ha la mia voce.”
Giulio Pocecco