In caso di fecondazione assistita, una scelta appropriata della donatrice di ovociti in base alla compatibilità genetica con l’utero della donna ricevente può ridurre il tasso di aborto spontaneo e la non riuscita dell’impianto dell’embrione in oltre l’85% dei casi. E’ quanto emerge dal campione studiato per un lavoro scientifico dell’Instituto Valenciano de Infertilidad (Ivi) presentato al congresso annuale della Società europea di medicina della riproduzione e di embriologia (Eshre) a Helsinki.
“Grazie a questa ricerca – spiega Daniela Galliano, direttrice del Centro Ivi di Roma – siamo in grado di confermare che quando selezioniamo un donatore compatibile con l’utero ricevente, il tasso di gravidanza aumenta all’86%, in confronto al 31% di tasso di gravidanza ottenuto con donatori sconosciuti, per il gruppo di pazienti incluso nello studio. Riguardo il tasso di aborto spontaneo, abbiamo osservato una percentuale pari al 94% con donatori sconosciuti, che scende all’8% nei casi in cui il donatore sia stato selezionato preventivamente per essere geneticamente compatibile con l’utero ricevente per i casi considerati dallo studio”. Questo approccio, dunque, aumenterebbe i tassi di gravidanza e ridurrebbe le altre questioni legate a questo tipo di trattamenti, come il rischio di pressione sanguigna elevata e la gestosi.
A livello uterino, esiste un repertorio di cellule che esprimono recettori unici, noti come Kir, che aiutano l’identificazione e l’impianto di embrioni. La parte materna dell’embrione è riconosciuta per impostazione predefinita, ma questo non vale per il lato paterno, che può influenzare negativamente l’impianto di embrioni in alcune pazienti, in accordo con la loro espressione genica uterina. I recettori Kir devono corrispondere perfettamente alla parte paterna, e quella materna in particolare per quei casi che comprendono la donazione di ovociti, dal momento che in questo tipo di trattamento, gli ovociti possono essere trattati dal nostro sistema come particelle estranee.
I frammenti paterni negli embrioni o i frammenti del donatore possono portare ad una intolleranza o al ‘rigetto’ da parte delle cellule uterine, che sono portatrici di recettori Kir, quando non riconoscono facilmente quei frammenti a causa di un’incompatibilità genetica. In questi casi, l’embrione non riceve il supporto necessario all’impianto, provocando di conseguenza il mancato impianto, aborti spontanei, ritardo della crescita intrauterina e gestosi.
Questo studio prospettico sulla fecondazione è stato condotto tra gennaio e dicembre 2015 e ha coinvolto un campione di 30 donne con inspiegabile insufficienza riproduttiva ricorrente sottoposte a 112 cicli di trattamento con ovuli di donatrici. Dopo aver analizzato i dati ottenuti, è stato osservato che nei casi in cui sia confermato l’incompatibilità tra parte materna e paterna degli embrioni, la selezione di un donatore compatibile con la ricevente e il trasferimento di un singolo embrione aumenta significativamente il tasso di natalità da 0% all’82%, per il campione in esame.
Inoltre, all’interno di questo gruppo di pazienti, il trasferimento di più di un embrione influenza negativamente il tasso di impianto, poiché l’utero dovrebbe riconoscere particelle estranee più grandi rispetto al trasferimento di un singolo embrione. Nei casi di ovo-donazione la percentuale di quelle particelle estranee diventa ancora più alto. Questa ricerca apre un campo di approfondimento per ulteriori studi sulla fecondazione con un campione più grande, come quello che si sta sviluppando che include 200 pazienti, i risultati del quale potranno offrire grandi miglioramenti alla selezione di donatori di seme e ovociti i in modo che il processo diventi più efficiente, più sicuro e in grado di raggiungere risultati migliori.