Nel giorno che celebra la vittoria sul nazifascismo e la liberazione del nostro paese hanno fatto bene l’amministrazione di Fara in Sabina e la CGIL Spi a scegliere il cippo di Canneto che onora la memoria e il coraggio del partigiano Edmondo Riva, torturato e ucciso dai nazisti nel 1944. I reatini stanno dimenticando la loro storia e le loro radici. Stiamo dimenticando tutti la storia della Resistenza, una storia di dolore e di sangue, quello dei civili e dei militari che hanno dato la vita per farci vivere nella democrazia e nella libertà, come facciamo da 77 anni.
E a proposito di partigiani, nella campagna di Canneto di Fara in Sabina, cinquanta km a nord di Roma, una targa e un monumento ricordano la figura del partigiano Edmondo Riva, classe 1901, Medaglia d’oro al valor militare alla memoria, nel luogo dove i tedeschi lo fucilarono il 7 giugno 1944. Edmondo era un operaio di Monterotondo che, come tanti suoi compagni in tutta l’Italia centro nord, scelse di opporsi ai nazifascisti, costituendo una piccola formazione partigiana che fu protagonista di numerose azioni militari. Il 2 giugno 1944 Edmondo, assieme ad altri diciannove partigiani fu incaricato del ritiro delle armi automatiche e delle radiotrasmittenti che l’aviazione alleata aveva lanciato su Monte Gennaro. Al ritorno il partigiano, che trasportava armi, s’imbatté in una pattuglia tedesca. Fu perquisito e arrestato insieme ad altri due partigiani. Edmondo Riva fu a lungo torturato prima di essere ucciso.
Leggiamo le motivazioni del conferimento della medaglia: “Sebbene in difficile situazione ambientale, subito dopo l’armistizio radunava attorno a sé un gruppo di arditi volontari a capo dei quali dava continue prove di temerarietà, coraggio e sprezzo della vita, portando a compimento numerose azioni armate contro truppe tedesche attestate a presidio della zona ed infliggendo alle stesse notevoli perdite in uomini e materiali. Durante operazioni di recupero di armi aviolanciate veniva catturato dai tedeschi. Condotto in carcere e a lungo interrogato, con minaccia di gravi rappresaglie, affinché rivelasse l’identità dei compagni di lotta, si rifiutava di fornire la benché minima informazione. Sottoposto, per ben tre giorni, a innumerevoli sevizie continuava a mantenere il più assoluto silenzio e, conscio della propria sorte, rivolgeva alla straziata moglie presente, parole d’incoraggiamento dicendole: “È venuta la mia ora, stai tranquilla, io muoio per un’Italia libera e indipendente “. Gli furono amputate le mani, ma Edmondo non parlò e così i suoi carnefici decisero di fucilarlo. Aveva quarantatrè anni Riva, uno degli eroi reatini che merita il nostro rispetto e il dovere della Memoria.
Giuseppe Manzo