Bagnoregio, nella Tuscia viterbese, custodisce un piccolo gioiello: il Museo Piero Taruffi, dedicato alla memoria del grande pilota ma anche custode di mille piccole e grandi storie e passioni, dove motore fa rima con amore.
Fondato dall’omonima Associazione che quest’anno festeggia il suo trentennale, essendo stata fondata proprio nell’anno della scomparsa di Taruffi, il Museo si ispira alla figura del grande pilota ed ingegnere laziale. Taruffi vinse, nella prima metà del Novecento, tutte le maggiori competizioni automobilistiche dell’epoca, concludendo la sua carriera con la vittoria della Mille Miglia del 1957 a bordo di una Ferrari.
Ma Taruffi fu molto più di un pilota, fu innanzitutto un progettista di circuiti come Misano Adriatico e Suzuka, ed un aerodinamico: progettò infatti delle carenature per motociclette che gli permisero di ottenere dei record mondiali su strada, per poi concepire il “bisiluro” per ottenere gli stessi risultati a bordo delle quattro ruote. Il bisiluro consiste in due siluri in alluminio accoppiati orizzontalmente, uno che accoglieva il serbatoio e l’altro l’abitacolo, con questo veicolo Taruffi raggiunse, nell’immediato dopoguerra, la velocità di 305 kmh pur con cilindrate molto basse.
Il Museo conserva ben 500 tavole originali con i disegni del progetto del bisiluro di Taruffi eseguite dai suoi ingegneri, alcune delle quali presentano delle note o correzioni di Taruffi stesso.
Le automobili ospitate all’interno del museo sono di proprietà dei soci e ruotano costantemente, di particolare rilievo è la nutrita collezione di microcar risalenti alla metà del secolo scorso; elemento distintivo di queste microcar, che le differenziano da quelle attuali, è la meccanica motociclistica: hanno cilindrate intorno ai 250 cc.
Qui il visitatore è colto da una continua meraviglia vedendo quante e quali furono le microcar realizzate, alcune in pochissimi esemplari, che in questo museo si ha la fortuna di poter ammirare, come la prima mai progettata, l’italiana Isetta, oppure il Microbo anche lui italiano, realizzato in solo due esemplari, come anche la Janus, tedesca, che ha la particolarità di avere la meccanica centrale ed i sedili, e quindi gli sporelli, contrapposti. Soluzioni innovative per l’epoca dal punto di vista sia della meccanica sia dell’utilizzo di materiali, per quei tempi, futuristici come l’alluminio.
Accanto alla grande collezione delle microcar è possibile ammirare una Balilla ultima serie, che presenta sulla sua livrea delle grandi strisce bianche, che rimandano alla Seconda Guerra Mondiale ed agli oscuramenti.
Nel Museo è costudita anche una “Volpe”, realizzata dall’Alca immediatamente dopo la guerra, presentata con grande sfarzo e sforzo propagandistico come la rivale della Fiat Topolino; tale e tanto fu il successo che furono incassati ben 300 milioni di lire per le commesse. Nonostante ciò ne furono realizzati solo 7 esemplari, uno dei quali è quello presente al museo; la Volpe è rimasta nella storia come una delle più grandi truffe del dopoguerra, ma dal design talmente bello da essere esposta anche al MoMa di New York.
Una sezione del museo Taruffi è dedicata anche alla vocazione cinematografica del borgo laziale; infatti a Bagnoregio furono girati molti film importanti tra i quali ricordiamo “I due colonnelli” con Totò, “Contestazione generale” con Alberto Sordi e “La strada” di Federico Fellini del quale conserva alcuni cimeli di scena.
A chi va a Bagnoregio per visitare le mete celeberrime del territorio consigliamo di cuore un “pit stop” al Museo Piero Taruffi, che ha ancora mille storie e mille curiosità da raccontare.
Benedetta Tintillini