Al Teatro Cucinelli, in attesa del programma completo della Stagione di Prosa, che quest’anno prenderà il via a primavera, lunedì 8 e martedì 9 novembre, alle 21, Peter Brook, il regista britannico che ha profondamente rivoluzionato il modo di fare teatro nel mondo, torna per la sesta volta a Solomeo per presentare, in prima assoluta per l’Italia, Tempest project.
Adattato e diretto da Peter Brook insieme a Marie-Hélène Estienne, lo spettacolo è interpretato da attori di diverse nazionalità: Alex Lawther, Sylvain Levitte, Paula Luna, Fabio Maniglio, Luca Maniglio, Ery Nzaramba.
Così ha commentato Brunello Cucinelli: «Il ritorno di Peter Brook a Solomeo è per me motivo di grande gioia. Oltre alla profonda ammirazione per il suo genio e la sua immensa e rivoluzionaria opera, mi unisce a questo grande maestro della scena un profondo affetto. Nel corso di uno dei nostri incontri a Solomeo parlammo a lungo confrontandoci in merito alle nostre esistenze. Quando una volta gli domandai di raccontarmi di lui, della sua vita, con grande semplicità mi rispose: “Amico caro, ho trascorso tutta la vita dialogando con Shakespeare”. Vorrei aggiungere una sua bella citazione che mi è rimasta impressa in questi giorni: “Il teatro è un alleato esterno del cammino spirituale, ed esiste per offrire bagliori, inevitabilmente brevi, di un mondo invisibile che permea quello di tutti i giorni, ed è normalmente ignorato dai nostri sensi”. La ricerca poetica di Peter Brook è indissolubilmente legata a Shakespeare, alla sua scrittura fluida e dinamica come una galassia in movimento. Per tutta la sua vita lo ha messo in scena, studiato e interpretato, nutrendosi di lui e facendovi sempre ritorno. Considero dunque un privilegio ospitare in prima assoluta in Italia “Tempest Project”, spettacolo nel quale Brook torna a confrontarsi con La tempesta, il capolavoro shakespeariano già messo in scena nel 1990 in un allestimento che in molti considerano la sua opera
più potente e significativa».
Come scrivono nelle loro note gli stessi Brook ed Estienne: «La tempesta è un enigma, è una favola in cui nulla sembra poter essere preso alla lettera e se rimani in superficie la sua qualità nascosta ti sfugge».
C’è una parola che ricorre molto spesso nella commedia, è la parola “libertà” e come sempre con Shakespeare la parola non è usata in modo ovvio, diventa una suggestione che riecheggia in tutta la pièce come un’eco. Calibano vuole la sua libertà, Ariel vuole la sua che non è la stessa e Prospero deve liberarsi dal compito che si è prefisso, la vendetta e tutto ciò che ne consegue e che gli impedisce di essere libero.
Il duca Prospero, immerso nei suoi libri, alla ricerca dell’occulto, preso nei suoi sogni fu tradito da figlio fratello. Arrivato in esilio sull’isola, si potrebbe credere che troverà la sua libertà perché possiede l’arte della magia e può trasformare gli elementi. Ma questa magia non riguarda gli umani.
Un vero uomo non dovrebbe oscurare il sole di mezzanotte – né portare i morti dalle loro tombe, iniziare una terribile tempesta e fare prigionieri dei suoi ex nemici. La voglia di vendetta divora Prospero che perdonerà solo quando arriva l’amore, l’amore che sua figlia prova per il figlio del suo nemico il Re di Napoli che invade e trasforma i due giovani. Dovrà quindi affrontare se stesso e il suo cuore e decidere di abbondonare la magia, seppellire il suo bastone, perdonare gli usurpatori, soprattutto suo fratello, rimettere in libertà Ariel e persino Calibano, rinunciare al potere che la magia gli ha dato. Stare finalmente davanti a noi, umili, chiedendo perdono.
L’ultima parola nell’opera – probabilmente l’ultima parola scritta da Shakespeare – è la parola libero.
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