di Bruno Mohorovich
Si è concluso il 31.mo salone del libro di Torino, in una cornice di pubblico a dir poco fastosa. Tra gli oltre 400 stand editoriali presenti, vi era anche quello riservato ed allestito dalla Regione Umbria, che ha accolto quasi 40 editori locali.
Tra le case editrici più attive della nostra regione, va sicuramente annoverata la Bertoni Editore, presente alla rassegna internazionale per il terzo anno di fila. Come da consuetudine, l’editore Jean Luc Bertoni, ha accompagnato i suoi autori e le loro opere a vivere un’esperienza certamente imdimenticabile per tutti loro, molti erano al loro debutto, altri – già rodati – hanno avuto modo di presentare le loro ultime novità editoriali.
La giornata di domenica è stata praticamente monopolizzata da questa giovane ed attivissima casa editrice, che ha visto alternarsi nella saletta appositamente predisposta, poeti, saggisti e scrittori.
La kermesse è stata aperta dal poeta Bruno Mohorovich che oltre a presentare la sua ultima raccolta di poesie “Tempo al tempo”, ha introdotto al vasto pubblico le opere di Raffaele Sari Bozzolo, Mari Mantovani, Annamaria Massari, Giorgio Montanari, Luigi Perrotta, Elisa Piana.
Raffaele Sari Bozzolo, autore sardo, è stato il primo ad esser introdotto con il suo “La sesta declinazione”, una raccolta in cui il poeta, che per l’occasione è stato accompagnato anche dal suo agente letterario e da Bruno Geraci, Direttore RAI di Torino che ne ha curato la prefazione, ha declinato il sempiterno tema dell’amore laddove,più che parlare dell’amore va alla ricerca dell’amore investigando dentro una parola che pare aver già dato e detto tutto, ma entro la quale c’è sempre qualcosa (o qualcuno) da scoprire. Con i suoi versi ha volto uno sguardo continuo d’intorno che eleva a pensiero anche il più essenziale dei gesti e dei moti che appartengono alla quotidianità, non rifuggendo dall’osservare le tragedie dell’attualità che trasmuta in metaforici sentiti momenti di poesia.
Mari Mantovani, artista e pittrice perugina, con “Il bacio del pesce” ha coniugato la sua arte pittorica con la poesia. I suoi disegni rappresentano un mondo magico, fatto di favola – forse anche rapito alle favole – ove stilizzati o appena tratteggiati, si muovono ed intersecano mondi irreali, alle soglie di un inconscio surreale. Figura femminili fluttuanti in un immaginario, fughe di corpi che si districano con allegria in geometriche tessiture; ricami e arabeschi avvolgono volti paffutelli di donne aperte al sorriso, quasi beffardo ancorchè intrigante e sognante.
Questi divengono un tutt’uno con la sua poesia attraverso la quale Esprime tutta la sua femminilità, Libera lei come donna che si libera nel suo respiro, e vive disinvoltamente il suo eros (“osserviamo la geografia / dei nostri corpi”) abbandonandosi volentieri agli elementi naturali che intridono il suo essere donna. Crea immagini che c’incantano e ci conduce in questo suo gioco onirico, invitandoci ad ascoltare voci e sussurri che colorano il suo cielo dove labile è il confine tra reale ed irreale.
Annamaria Massari giunta alla sua seconda produzione, dopo “Salsedine”, presenta “Parole in volo”, una raccolta poetica nella quale ella si metaforizza nel gabbiano, ora uccello di mare ora di terra, che vola e sorvola su siti e persone, plana e risale sulle stagioni del cuore, laddove anche l’inquietudine del ricordo dell’amore di una vita non si smarrisce mai nella nebbia della malinconia (“ti vedo tra gli stanchi ulivi”), ma si rigenera nella forza della natura ( “invia un bip/ attraversa l’aria”). Il gabbiano Annamaria Massari non soccombe alla furia del vento, al frastuono dei tuoni, all’urlo del mare, forse si discosta dalla riva ma vi riapproda perché tornerà nell’aria…tornerà nella poesia.
Giorgio Montanari, è una new entry nel panorama editoriale della Bertoni; è un giovane che viene da Parma e che con “Finzioni di poesia” – sul cui significato del titolo ci da ragione alla fine – fintamente avvilendo la sua capacità di scrivere; ma nel momento in cui lo fa ( o pensa di farlo) ci offre l’umiltà che dovrebbe essere propria di chi scrive: non si cela ( “ ti ho autorizzato/ a sbirciare/ fra gli scritti di una vita”) egli ci dice: Sbirciare e non guardare, indagare, socchiude la porta della sua anima e ci permette di affacciarci. E quello che vediamo è un uomo che lascia che i suoi occhi spazino ogni dove; e si posino ora sulle memorie d’un cantante scomparso ora sui quattro elementi della natura che legge o in chiave negativa (l’acqua) o positiva ed ispirata (l’aria); una dolce tenera dedica alla donna amata è l’unica che riesce ad instillare in lui una vena d’ottimismo a fronte di una serie di composizioni che lasciano ben poco alla speranza d’un esistenza serena.
Opera prima anche per Luigi Perrotta, calabrese di nascita ma residente a Vercelli che si racconta in “Il peso del rumore”. La sua raccolta, si suddivide in 5 parti (peso, rumore,silenzio,luce soffusa,dissolvenza, ognuna delle quali introdotta da una citazione che da il senso agli scritti) e si dipana lungo un percorso che ben poco concede alla speranza del vivere (“ sono così buio/ che vado in giro con lo sguardo in sù”) proprio nel tentativo di liberarsi dall’oppressione di quella gabbia provando a trasformare le avversità in opportunità ; un percorso ch’egli traccia rigo dopo rigo in una simbiotica armonia con la natura,cogliendo in essa quelle risposte che l’esistenza troppe volte tace. E paradossalmente, è nel rumore di un temporale, nel frastuono di un lampo che risolve qualche tormentato quesito “(le tempeste) Insegnano a volte/più di quanto faccia / una giornata di sole”.
A chiudere la sestina di poeti, ultima ma non ultima, Elisa Piana anche lei al suo debutto torinese con “A nudo”. E’ nella copertina che si racchiude il senso di questa silloge; una Polaroid, un’immagine vintage che rievoca memoria e che ci dava la fotografia…subito!
Ed è questo “SUBITO” che traspare nei versi di Elisa; un subito che appartiene al suo ieri che non è mai passato; si rievoca sempre; è – come scrive – “fatto di impronte ovunque”.
Un dolore/amore paterno che si intreccia con l’amore/dolore della donna che ama ( o ha amato) la quale, non senza rabbia rinnega il voler essere una coppia; una donna in attesa che non accetta di mettere punti alla sua vita e continua – pur in una non sopita sofferenza – a cercare, a sperare sapendo di rimanere schiacciata sotto il peso del suo cuore.
In Elisa Piana, la poesia è sentimento, è mettersi a nudo, è saper guardare alla notte con serenità senza che la notte disveli o riveli gli aspetti più bui.
Ed infine, Bruno Mohorovich, che è stato presentato dal suo editore. In “Tempo al tempo” egli dice che era arrivato il momento di confrontarsi con i fantasmi del suo passato, raccontandosi e svelandosi senza falsi pudori. La ritrovata serenità dell’animo e la certezza di una lotta – che lo ha visto spesso soccombere – che lo ha visto (ri)sorgere dall’amara terra, gli hanno consentito di guardare e guardarsi, affidando ai versi quello che sentiva. “Tempo al tempo” è una locuzione che si portava dentro da anni e che ha mutuato dal film “Anonimo veneziano”, un film che appartiene al suo DNA.